25/04/2010

Jerusalem


Di ritorno dalla città di shalom. Dove niente sembra essere shalom, dove tutto invece è shalom. Jerusalem, la città di pace, ha il sentimento di un auspicio che mi invia Moni Ovadia via sms. Mentre la mia mano e la mia anima scattano istantanee su monasteri e chiese greco-ortodosse, armene, etiopi, coopte, e su una culla di una fede unica in Dio che non ha paura di sentirsi chiamare Santo Benedetto, Allah, Jeshua.
Fratel Daniel, protestante della comunità di Bose in appoggio a Jerusalem, ha la barba lunga degli antichi saggi, e condivide con me due parole nella biblioteca dei padri bianchi nella splendida Sant'Anna; mentre abuna Ibrahim Faltas, il parroco ora di questa città, ma che alcuni anni fa resistette per ben 36 giorni a Betlemme tra israeliti e palestinesi, non perde tempo in chiacchiere e detta i tempi dell'accoglienza.
Nel suq tutto torna, tutto è shalom, ogni cosa prende nome "pace". La preghiera del muezzin, il "padre nostro" lungo la via crucis, la via dolorosa, il capo chino degli ebrei lungo il muro del pianto. E il santo sepolcro si riempie di turisti, residenti di fede astratta, uomini e donne in preghiera, soldati con il mitra, l'ortodosso Stefanos sempre pronto a convogliare il traffico dei fedeli.
Shalom, Jerusalem. Inshallah. Che Dio sia con te, almeno stasera.

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